Si è concluso oggi un lungo iter giudiziario che ci ha visti impegnati a tutelare la reputazione delle counselor e dei counselor italiani.
Nel 2018 era apparso su due quotidiani nazionali un articolo in cui si riportava che l’attività di counseling era sostanzialmente una truffa perpetrata da operatori privi di un adeguato percorso di studi che promettevano di risolvere in breve tempo i problemi delle persone.
Chiedemmo subito, attraverso il nostro ufficio legale, un’immediata rettifica al giornalista autore del pezzo e ai direttori delle due testate che lo avevano pubblicato, rendendoci peraltro disponibili a collaborare alla stesura di un articolo divulgativo sulla figura del counselor che spiegasse nel dettaglio la nostra attività.
A tale richiesta era seguito solo il silenzio del giornalista, dei direttori e dell’editore e neppure una successiva diffida da parte dei nostri legali era servita a niente. A quel punto decidemmo di procedere con una denuncia all’autorità giudiziaria.
L’iter è stato lungo e le nostre ragioni si sono in larga parte sostanziate grazie alla lunga testimonianza resa dalla nostra Presidente, Alessandra Caporale, davanti alla Giudice titolare del procedimento penale.
Quando non ci si ferma di fronte a facili slogan, ma si va a scavare a fondo, informandosi e approfondendo, ben si comprende qual è l’attività esercitata da noi counselor e in cosa questa si differenzia dall’attività dello psicologo.
L’iter si è concluso infatti con un accordo transattivo tra AssoCounseling e i due quotidiani e la somma pattuita come risarcimento è stata da noi integralmente devoluta alla Fondazione Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze a sostegno dei progetti dell’associazione MiaDi.
«Dedichiamo questo risultato a tutte le colleghe e a tutti i colleghi – dichiara la Presidente Caporale – poiché il nostro obiettivo è sempre stato quello di sottolineare che non accetteremo più offese e diffamazioni gratuite».
«Viviamo in un’epoca – prosegue la Presidente di AssoCounseling – in cui troppo spesso le parole vengono utilizzate in modo improprio e superficiale generando, in maniera più o meno consapevole, danni a persone e, a volte, ad intere comunità».
«Il risarcimento simbolico che abbiamo richiesto e ottenuto a favore del Meyer – conclude Caporale – ci riempie di gioia. Sappiamo che è una goccia nel mare, ma allo stesso tempo rappresenta la nostra ammirazione e riconoscenza verso chi, ogni giorno con amore e dedizione, si occupa della salute delle bambine e dei bambini».
Ci auguriamo che questa vicenda possa contribuire a porre le basi per una dialettica maggiormente rispettosa.
Da oggi, di sicuro, si dovrà fare più attenzione: la diffamazione è un reato.
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