Rivelazione di segreto professionale: Codice Penale, art. 622

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Rivelazione di segreto professionale: Codice Penale, art. 622

Il segreto professionale è un obbligo giuridico previsto a carico di coloro che esercitano determinate professioni. Consiste nel non rivelare a terzi quanto appreso nell’esercizio della propria professione e la sua violazione è un reato:

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 [c.p. 31]. (1, 2)

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. (3)

Il delitto è punibile a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336]. (4, 5)

1. Ai sensi di quanto disposto dal primo comma dell’art. 24 del codice penale, come modificato, da ultimo, dal comma 60 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94, la pena della multa consiste nel pagamento di una somma non inferiore a 50 euro.
2. La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113,  24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.
3. Comma aggiunto dall’ 2, D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61e poi così modificato dall’art. 15, L. 28 dicembre 2005, n. 262. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.».
4. L’art. 21,  22 maggio 1978, n. 194, sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, così dispone: «Chiunque fuori dei casi previsti dall’art. 326c.p., essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio rivela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla – di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge, è punito a norma dell’art. 622c.p.».
5. Per l’aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1,  5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 
Il segreto professionale è rivolto alla tutela alla libertà e sicurezza dei rapporti professionali, determinati dalla necessità dell’individuo di godere delle prestazioni di determinate categorie di soggetti, qualificate per la cura di differenti e rilevanti interessi, anche comunicando fatti o aspetti non noti della propria vita[1].

La tutela penale contro le condotte che violano il segreto professionale è riferita alla tutela della libertà individuale – il che spiega la perseguibilità a querela di parte dell’illecito[2] – a cui sono strettamente collegati interessi individuali (ma non solo) finali e indirettamente tutelati[3] di grande rilievo quali: la salute, la difesa processuale, la libertà religiosa, affidati ai professionisti in senso lato, dei quali altrimenti verrebbe compromessa la tutela a causa del timore di un’indebita rivelazione[4].

La sanzione del dovere di fedeltà delle categorie professionali in questione soddisfa, seppure indirettamente, anche l’interesse pubblico alla libertà e sicurezza dei rapporti professionali[5], che è sottolineato dai codici deontologici delle c.d. professioni intellettuali (o liberali) e dalle garanzie processuali.

L’incriminazione indica in «chiunque» l’autore del reato, tuttavia dal suo contenuto si evince che soltanto il professionista può essere l’autore della violazione in quanto è il depositario di un segreto professionale [6].

Non rilevano quindi i rapporti confidenziali di mera simpatia, fondati su una libera causa, in cui la conservazione della riservatezza costituisce un mero obbligo morale, potendo integrare invece una violazione civile (art. 2043 Cod. Civ.) o, eventualmente, penale laddove sia leso un altro bene della persona (ad es. l’onore).

La norma penale non effettua una elencazione casistica delle categorie professionali tenute al dovere di segretezza, inevitabilmente destinata all’incompletezza, ma indica situazioni professionali e personali: lo stato, l’ufficio, la professione e l’arte, in cui può radicarsi l’obbligo di segretezza, che sono riassumibili in un concetto unitario di professione in senso lato che va ben oltre le tradizionali professioni liberali od intellettuali[7].

La nozione di professione è necessariamente elastica[8] e presenta alcuni caratteri generali riconosciuti comunemente nelle attività volte a fornire servizi o prestazioni personali a favore dei richiedenti o di chi ne abbia necessità ed esercitate in modo stabile, continuativo[9] e riconoscibile nell’ambiente sociale, sebbene non necessariamente in via esclusiva o principale. 

Si tratta di attività a cui per natura, consuetudine, o norma, deve inerire l’apprendimento di fatti non noti, concernenti la vita intima di chi riceve la prestazione, e che possono essere effettuate anche senza fini di lucro[10].

L’acquisizione della conoscenza delle notizie non deve essere abusiva[11] né è sufficiente un nesso di mera occasionalità tra l’attività e l’acquisizione delle notizie, ma è richiesto un nesso di causalità necessaria, anche se la notizia sia stata comunicata al professionista in via confidenziale[12].

Sono escluse, dunque, sicuramente dalla nozione le prestazioni e i servizi meramente eccezionali[13], ciò perché se da un lato sarebbe eccessivo estendere la sanzione penale anche agli autori di servizi o prestazioni occasionali, d’altra parte chi ad essi si affida sa di non potersi attendere quella fedeltà particolare di chi svolge una attività professionale.

Si discute, invece, sull’inquadramento delle attività esercitate abusivamente o in via di mero fatto: per la conclusione affermativa si ritiene decisiva – giacché è comune in diritto penale il riconoscimento delle qualifiche di fatto – sia la meritevolezza di tutela anche di chi si sia rivolto a chi appariva un professionista abilitato, sia la irrilevanza con riguardo alla sussistenza del rapporto fiduciario della reale qualifica del professionista abusivo[14].

Non hanno, invece, tutela i rapporti relativi ad attività illecite, immorali o, comunque, proibite dall’ordinamento, perché in tali casi le prestazioni non sono necessarie e non può determinarsi una legittima aspettativa alla fedeltà[15].

Nel binomio “professione o arte” si ricomprende ogni attività lavorativa o di prestazione di servizi svolta in favore di chi ne faccia richiesta o ne abbia necessità, svolta anche in via non esclusiva ma con carattere di continuità, per lo più remunerata.

L’affiancamento dei due termini porta a ricomprendere qualsiasi attività di carattere intellettuale o manuale, dalle professioni liberali alle prestazioni d’opera del lavoratore subordinato.

In particolare, per svolgimento della professione s’intende lo svolgimento di attività e compiti non manuali nell’interesse altrui, senza attribuzione di rilevanza alla qualificazione pubblicistica o privatistica[16].

Non è necessario che le professioni abbiano un riconoscimento legale e siano disciplinate normativamente[17].

Con ufficio si indica qualsiasi esercizio, permanente o temporaneo, di attività pubbliche (purché il segreto abbia natura privata), in particolare il notariato[18] o private, svolte a titolo oneroso o gratuito, che comportino la titolarità di diritti e doveri e si esprimano nell’assunzione di funzioni di carattere non manuale, ancorché non professionali in senso stretto[19]. Si ricomprendono nella nozione di ufficio il tutore e il curatore di minori, infermi di mente o inabilitati, il consulente tecnico di parte, l’impiegato privato.

La nozione di stato è clausola di chiusura[20] (lo status sacerdotale ad esempio) si tratta di quella peculiare condizione giuridica o situazione sociale di appartenenza ad entità organizzative, intese in senso ampio, che comporta l’esercizio continuativo di una determinata attività – pur non professionale in senso stretto – a favore dei richiedenti, ad esempio: i sacerdoti della religione cattolica e i ministri di culto di una qualsiasi confessione religiosa, per ciò che sia stato a loro confidato, o sia stato da loro appreso, al di fuori della confessione, purché in ragione dello stato sacerdotale o ministeriale[21].

 Il segreto deve riguardare la sfera intima, privata della persona, fisica o giuridica, vale a dire, indicativamente: sfera affettivo-sessuale, salute, onore, famiglia, convinzioni politiche e fede religiosa, condizioni patrimoniali e finanziarie, relazioni commerciali, attività professionale, ecc.[22] non è necessario tuttavia che si tratti di bisogni primari o insopprimibili.

Non ha alcun rilievo la natura illecita (o moralmente riprovevole) della notizia oggetto di segreto, essendo anzi connaturato alla natura ed al legittimo svolgimento di certe professioni o status l’apprendimento di fatti illeciti che debbono rimanere segreti; lecito deve essere, invece, il motivo della confidenza, che deve essere, dunque, funzionale alla prestazione professionale (ad es.: difesa processuale[23]).

Si discute se il segreto possa riguardare anche notizie attinenti terze persone, diverse da quella che si rivolge al professionista e che le abbiano a quest’ultima confidate col vincolo del segreto perché utili allo svolgimento della attività professionale[24]. Chi sostiene la soluzione affermativa individua comunque nel cliente del professionista il soggetto passivo del reato, nonché titolare della facoltà di querela.

La notizia non deve essere notoria[25] ma non rileva la conoscenza di essa in un ambito limitato di persone quando la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di diffonderla in un ambito più vasto o, comunque, tra un numero di persone potenzialmente indeterminato.

Non si considera segreta la notizia avuta senza obbligo, espresso o tacito, di non palesarla, ovvero la notizia che possa essere appresa ordinariamente anche da altri (C., Sez. II, 4.7.1934).

Non escludono l’obbligo al segreto nei confronti di tutti i terzi gli obblighi di comunicazione alla Autorità giudiziaria o alla Pubblica sicurezza o alla Amministrazione di appartenenza, propri dei mediatori professionali, agenti di borsa, agenti di affari, albergatori, assicuratori, banche, ecc[26].

 Il segreto dell’avvocato – che concerne tutto ciò che è appreso per ragione dell’attività (art.9 Codice Deontologico approvato dal Consiglio Nazionale Forense) – rientra pacificamente nell’ambito della norma in esame ed in sua presenza è riconosciuta la facoltà ex art. 200 c.p.p. di astenersi dal testimoniare[27].

La sentenza della Corte Costituzionale (C. Cost. 8.4.1997, n. 87) afferma la sussistenza dell’obbligo al segreto e della facoltà di astenersi dal testimoniare anche per gli iscritti al registro dei praticanti a seguito di delibera del consiglio dell’ordine degli avvocati.

Peraltro, va rilevato che il segreto non può essere ritenuto a priori ma va eccepito da chi, chiamato a deporre, rientra nelle indicazioni e nelle condizioni di cui all’art. 200 c.p.p. (C., Sez. VI, 11.2.2009, n.9866, in RP, 2009, 680; e in CP, 2009, 3910).

Parimenti è pacificamente ricompreso nella sfera dell’art. 622 C.P. il segreto di medici, chirurghi, farmacisti, ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria[28]. L’art. 4, L. 18.2.1989, n. 56, sull’ordinamento della professione di psicologo, sancisce espressamente l’obbligo di segretezza anche per tali professionisti.

Alcune leggi speciali prevedono specifici obblighi al segreto: in particolare l’art.21 della L. n.194 del 22.5.1978, sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, impone il segreto professionale a coloro i quali siano venuti a conoscenza, per ragioni di professione o di ufficio, dell’identità di chi ha fatto ricorso alle procedure e agli interventi previsti da detta legge; l’art. 120, D.P.R. 9.10.1990, n.309, Testo Unico sugli Stupefacenti, esclude in capo ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze l’obbligo di deporre su quanto hanno appreso per ragione della loro professione; la stessa norma si applica a coloro che operano presso enti, centri, associazioni o gruppi che hanno stipulato apposite convenzioni con le unità sanitarie locali. Va, peraltro, evidenziato che non si applica la norma in esame, bensì l’ art. 326, quando queste figure professionali rivestano cariche pubblicistiche ex  artt. 357 e  358 ed il segreto rivelato riguardi un atto o un fatto della Pubblica Amministrazione.

La norma in esame riguarda anche la tutela del segreto nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, limitatamente alla violazione del segreto che il soggetto ha conosciuto per ragione del suo ufficio, cioè nell’esercizio delle sue mansioni o a causa di esse[29]. Il lavoratore subordinato è, comunque, tenuto al più ampio dovere di riservatezza e lealtà aziendale posto dall’art. 2105 c.c. con riferimento a qualunque notizia attinente all’organizzazione e ai metodi della produzione appresa in ragione dell’inserimento nell’azienda e non solo quelle conosciute per ragione del suo ufficio.

 Presupposto della condotta di reato è la cognizione del segreto «per ragione» di professione, arte, stato o ufficio; la conoscenza del segreto deve essere, dunque, legata da un nesso di causalità necessaria con l’attività professionale in senso lato, mentre non sono sufficienti una mera connessione occasionale[30] – che si verifica quando la notizia ed il fatto sono conosciuti casualmente dal professionista – e, tanto meno, un apprendimento per motivi di amicizia o con espedienti illeciti[31]. Non è però necessario che la notizia sia comunicata dal cliente al professionista in via confidenziale e, dunque, per scelta dell’interessato, ma è sufficiente che la comunicazione si verifichi per l’impossibilità (contingente o transitoria) del cliente di tenere la notizia segreta[32].

La norma in esame sanziona alternativamente le condotte di rivelazione senza giusta causa e di impiego a proprio o altrui profitto del segreto professionale. Non è necessario che la condotta avvenga durante il rapporto professionale: l’interesse alla conservazione del segreto può sussistere anche dopo la sua cessazione e, perfino, permanere oltre la stessa vita del cliente (o interessato) giacché se con la morte si estingue la facoltà di querela, gli eredi o i prossimi congiunti del defunto possono essere direttamente lesi dalla condotta.

La condotta di rivelazione, in generale, è integrata sia dal comportamento attivo di chi fa conoscere un segreto ad altri, sia dal comportamento omissivo di chi si limiti a consentire che un terzo apprenda il segreto, violando l’obbligo giuridico di custodirlo[33].

La rivelazione a terzi partecipi al rapporto professionale, come ad esempio i colleghi a cui si chieda un parere, anch’essi tenuti al segreto, non è invece illecita[34].

Per le nozioni di impiego e di profitto, in generale, si tratta di ogni forma di utilizzazione diretta del segreto finalizzata a procurare un vantaggio o beneficio anche non patrimoniale all’autore o a un terzo.

 Sono giusta causa o causa di giustificazione le norme giuridiche che impongono al professionista la rivelazione del segreto: ad esempio l’obbligo di denuncia o referto ( artt. 361 e  365), salve le ipotesi di cui all’art. 365 comma 2, e l’obbligo di rendere testimonianza, con esclusione delle ipotesi di cui all’ art. 200 c.p.p. In questo ultimo caso le richieste della autorità giudiziaria non costituiscono giusta causa di rivelazione del segreto perché ad esse si può resistere proprio con l’opposizione del segreto professionale.

Le norme che impongono la rivelazione del segreto perché abbiano un effetto giustificante in sede penale debbono essere anch’esse sanzionate penalmente, mentre non rilevano le imposizioni di natura civile e amministrativa.

Giustifica anche lo stato di necessità ( art. 54), in cui si trova, ad esempio, il professionista che riveli il segreto per difendere il proprio buon nome professionale contro un’offesa ingiusta.

Giustificano gli accordi contrattuali che attribuiscano al professionista il diritto di rivelare a terze persone ciò di cui sia venuto a conoscenza nell’esercizio della professione.

Le diverse interpretazioni della nozione di giusta causa hanno rilevanza riguardo alla definizione del consenso dell’avente diritto rilevante in materia, in ogni caso, trattandosi di segreti privati, ha rilievo scriminante, sia al consenso alla rivelazione prestato dal titolare (o da tutti i titolari) del segreto, sia alla ratifica successiva da parte del medesimo soggetto.

Per contro chi reputa sussistenti tutti i limiti della scriminante di parte generale esclude rilievo al consenso quando si tratti di diritti finali indisponibili.

A sostegno di quest’ultima tesi, in particolare, si richiama la norma processuale penale che consente a determinate categorie professionali o persone aventi determinati status di non rendere alcuna testimonianza nel processo su quanto appreso in ragione della loro professione o status (art. 200 c.p.p.), che evidenzierebbe l’assoluta preminenza dell’obbligo al segreto rispetto persino agli interessi della Giustizia.

L’art. 200 c.p.p.[35] attribuisce a determinate categorie professionali – tassativamente elencate o a cui è attribuita dalla legge – la facoltà di non deporre su quanto conosciuto per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui abbiano l’obbligo di riferirne alla Autorità Giudiziaria, come in caso di obbligo di referto.

Collegati a tale norma sono l’art. 362 c.p.p., che estende tale facoltà alle sommarie informazioni davanti al P.M.; l’art. 195, 6° co., c.p.p., che vieta la testimonianza indiretta sui fatti appresi dalle persone indicate ed in relazione alle circostanze previste dall’art. 200 c.p.p. (e art. 201 c.p.p.), e l’art. 271, 2° co., c.p.p., che vieta l’intercettazione dei colloqui con i professionisti su fatti o circostanze apprese nell’esercizio della attività.

Peraltro, va rilevato che il segreto non può essere ritenuto a priori ma va eccepito da chi, chiamato a deporre, rientra nelle indicazioni e nelle condizioni di cui all’art. 200 c.p.p. ( C., Sez. VI, 11.2.2009, n. 9866, in RP, 2009, 680; e in CP, 2009, 3910).

La legge riconosce, in particolare, tale facoltà a dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali (art. 5, D.P.R. 27.10.1953, n. 1067, art. 4, D.P.R. 27.10.1953, n. 1068) ad eccezione che per le attività di revisione e certificazione obbligatoria di contabilità e bilanci e per le funzioni di sindaco o revisore di società o enti; ai consulenti del lavoro (art. 6, L. 11.1.1979, n. 12); ai consulenti in proprietà industriale (art. 5, D.M. 3.4.1981); ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze e agli operatori presso enti, centri, associazioni o gruppi che hanno stipulato apposite convenzioni con le Asl (art. 120, D.P.R. 9.10.1990, n. 309, T.U. Stupefacenti).

Il giudice può disporre accertamenti sull’effettiva sussistenza del segreto ritualmente opposto, ed all’esito negativo può ordinare al teste di deporre.

Parimenti sulla opposizione del segreto con dichiarazione scritta riguardo alla consegna all’autorità giudiziaria di documenti o altre oggetti detenuti per ragioni professionali, l’autorità giudiziaria può procedere agli accertamenti del caso sulla fondatezza dello stesso e all’esito negativo disporne il sequestro (art. 256 c.p.p.).

L’oggetto del segreto opponibile in sede processuale penale pare analogo a quello del segreto tutelato penalmente dall’art. 622, giacché anche la norma processuale ricomprende, non solo le confidenze del cliente, ma ogni altra notizia appresa a causa o nell’esercizio della professione, con l’esclusione unicamente di quanto conosciuto in occasione (ma non in connessione) dello svolgimento della attività professionale.

Dalla rivelazione e dall’impiego del segreto deve derivare la possibilità di un nocumento, integrato da carattere patrimoniale o non patrimoniale[36] riguardante il soggetto beneficiario della prestazione professionale o terze persone[37].  Non occorre, dunque, che vi sia stato un danno effettivo[38].

Il pericolo di nocumento, inteso come pregiudizio reale di qualunque natura, purché giuridicamente apprezzabile, costituisce condizione obiettiva di punibilità del reato che non può essere considerata presunta, ma deve essere individuata in sentenza con dati chiaramente significativi della sua esistenza ( C., Sez. V, 7.3.2016, n. 34913).

 Nel reato possono concorrere gli estranei che non rivestono la qualifica professionale. La condotta di chi si limita a ricevere la rivelazione o ad essere beneficiario dell’impiego abusivo integra un’ipotesi di concorso necessario non punibile, integrano invece un concorso punibile, le condotte attive od omissive di istigazione e di determinazione causalmente rilevante (ad es. si paga il professionista perché riveli il segreto).

 Il delitto è procedibile a querela della persona offesa, che è il cliente (persona fisica o giuridica) del professionista e non il terzo a cui si riferisce eventualmente il segreto professionale violato.

L’art.4 della L. del 14.01.2013 n.4 recita:

L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista.

Per quanto attiene le professioni non regolamentate si ritiene che il professionista, anche per quest’ultima espressa previsione, sia tenuto al rispetto delle buone pratiche professionali a cui deve attenersi il libero professionista, quindi anche al segreto professionale, sia perché previsto dal Codice Deontologico della Associazione di categoria professionale al quale è iscritto, sia in virtù del contratto di prestazione professionale con il proprio cliente che espressamente lo pattuisca, sia nel caso in cui il professionista non sia iscritto ad una Associazione di categoria professionale e/o non abbia previsto espressamente l’obbligo del segreto professionale.

Ne consegue, quindi, che anche i professionisti che esercitano una professione non regolamentate e non organizzate in Ordini o Collegi siano tenuti al segreto professionale e che alla violazione consegua una responsabilità penale e, laddove il professionista sia iscritto ad una Associazione di Categoria Professionale, anche ad una sanzione disciplinare prevista dal Codice Deontologico e dai regolamenti interni dell’Associazione stessa.

 

Note

[1] Crespi, La tutela penale del segreto, Palermo, 1953, 99; Mantovani, PS, I, 621; Manzini, VIII, 1010; Mutti, Segreto professionale, in Digesto pen., XIII, Torino, 1997, 125

[2] Crespi, 100; Monaco, sub art. 622, in Comm. Crespi, Forti, Zuccalà, 2053

[3] Cocco, Inviolabilità dei segreti privati (621, 622, 623), in Cocco, Ambrosetti, PS, II, 429

[4] Crespi, 99, 104; Mazzacuva, Delitti contro la persona: le altre ipotesi di tutela, in Canestrari, Gamberini, Insolera, Mazzacuva, Sgubbi, Stortoni, Tagliarini, Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Bologna, 1998, 349; Mutti, 125; Petrone, Segreti (delitti contro l’inviolabilità dei), in NN.D.I., XVI, Torino, 1969, 974; in particolare Mantovani, PS, I, 621; e Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 269, individuano in questi ultimi interessi il bene giuridico direttamente tutelato dalla fattispecie; C., Sez. II, 6.3.2009, n. 17674;  C., Sez. VI, 19.4.1996, CorT, 2009, 3064: libertà e sicurezza del singolo.

[5] cfr. Lago, sub art. 622, in Comm. Dolcini, Marinucci, 6070; Vigna, Dubolino, Segreto (reati in materia di), in ED, XLI, Milano, 1989, 1086; Gargiulo, sub art. 622, in Comm. Lattanzi, Lupo, X, Milano, 2000, 842

[6] Mantovani, PS, I, 621; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 269; Mutti, 126; Pedrazzi, Aspetti penali e processuali del segreto bancario, in Romano (a cura di), La responsabilità penale degli operatori bancari, Bologna, 1980, 248

[7] Antolisei, PS, I, 262; Crespi, 102; Lago, 6070; Mantovani, PS, I, 622; Petrone, Segreti, 974

[8] Mazzacuva, Delitti, 388

[9] Mantovani, PS, II, 623; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 270

[10] Antolisei, PS, I, 262; Mantovani, PS, I, 623; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 270

[11] Cocco, La tutela penale delle creazioni intellettuali, in Di Amato (diretto da), Trattato di diritto penale dell’impresa, IV, Padova, 1993, 285; Crespi, 103

[12] Lago, 6076; Monaco, 2053; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 270

[13] Antolisei, 262; Cocco, La tutela, 285; Manzini, passim; Mazzacuva, Delitti, 389; Mutti, 126

[14] Cocco, Inviolabilità, 429; dubitativamente Mantovani, PS, I, 624; Seminara, in Giarda, Seminara (a cura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, Padova, 2002, 630; contra Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 270; Antolisei, 262; Crespi, 103; Gargiulo, 845; Lago, 6070

[15] Mutti, 126; Mantovani, PS, I, 624

[16] Cocco, La tutela, 284; Crespi, 103

[17] Lago, 6071.

[18]in tal senso in part. Petrone, Violazione dei segreti (delitti contro l’inviolabilità dei), in NN.D.I., app., VII, Torino, 1987, 1115; Vigna, Dubolino, 1087; contra Manzini, VIII, 1018; cfr. par. 7 in fine

[19] Antolisei, 262; Cocco, La tutela, 284; Crespi, 108; Manzini, VIII, 1017; Vigna, Dubolino, 1086; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 270; Lago, 6071.

[20] Alessandri, Riflessi penalistici della innovazione tecnologica, Milano, 1984, 193

[21] Mantovani, PS, I, 622; Manzini, VIII, 1016; Mutti, 126; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 270

[22] Mantovani, PS, I, 621; Manzini, VIII, 1022; Mazzacuva, Delitti, 390; Mutti, 127

[23] Mantovani, PS, I, 621; Mutti, 128

[24] in senso affermativo: Manzini, VIII, 1022; Mutti, 129; Mantovani, PS, I, 621; contra, Crespi, 121; Vigna, Dubolino, 1089

[25] Cocco, Introduzione. Il segreto e la sua violazione, in Cocco, Ambrosetti, PS, II, 425; Manzini, VIII, 1021

[26] Mazzacuva, Delitti, 389; Mutti, 126

[27] Battaglia, Il segreto professionale forense nella C.E.E. e negli Stati membri: brevi riflessioni e proposte, in RIDPP, 1978, 700

[28] ampiamente in tema da ult. Portigliatti, Barbos, Segreto professionale medico, in Digesto pen., XIII, Torino, 1997, 135; inoltre Berti, Del segreto professionale in genere e di quello del medico in ispecie, in RP, 1964, I, 137; Delitala, Il segreto professionale del medico di fronte alle nuove esigenze della medicina sociale, in PI, 1961, 161

[29] Ichino, Diritto alla riservatezza e diritto al segreto nel rapporto di lavoro, Milano, 1979, 206; Monaco, 2055

[30] Mazzacuva, Delitti, 391; Mutti, 128; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 271; Mantovani, PS, I, 625

[31] Lago, 6076; Mantovani, PS, I, 625; Manzini, VIII, 1023; Mazzacuva, Delitti, 388; Fiandaca, Musco, PS, II, 1, 271

[32] Crespi, 119; Mazzacuva, Delitti, 391; Mutti, 128; Petrone, Segreti, 975; Vigna, Dubolino, 1088; Mantovani, PS, I, 625

[33] Lago, 6076; Mazzacuva, Delitti, 392; Mutti, 129

[34] Mutti, 129; Pedrazzi, 249

[35] CODICE PENALE: art. 200. Segreto professionale.

1) Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria [c.p.p. 331, 334]:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;
b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai (1);
c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (2).
2) Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
3) Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione. Tuttavia, se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni (3).

[36] Mutti, 129; Pedrazzi, 250; Petrone, Segreti, 958

[37] Mantovani, PS, I, 269; contra, Vigna, Dubolino, 1091

[38] Antolisei, PS, I, 264; Mutti, 129; Vigna, Dubolino, 1091

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Francesco Alagna

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L'Avv. Francesco Alagna, Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici (ONAP), è uno dei membri dell'ufficio legale di AssoCounseling.
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