Il sistema scolastico italiano è uno dei pochi – forse l’unico – che prevede un’unica figura professionale (oltre a quelle amministrative e tecniche): l’insegnante. I dirigenti scolastici devono essere (stati) insegnanti; gli psicopedagogisti, dove ancora esistono, sono insegnanti; gli specialisti per la disabilità, l’intercultura, i disturbi dell’apprendimento, sono sempre e solo insegnanti. Nella scuola italiana non è prevista alcuna figura di sistema che non sia docente. Non sono previsti ruoli di supporto, consulenza, supervisione per il corpo docente, che da questo punto di vista è completamente autoreferenziale. Né le varie riforme che sono succedute nei decenni hanno ipotizzato qualcosa di diverso in questo senso.
Al contempo negli ultimi anni sono aumentati in maniera esponenziale:
Nella discussione che segue a questi fatti, la lettura è quasi sempre legata alla dimensione individuale, episodica, strettamente legata al contesto.
Un’altra chiave interpretativa – che non esclude necessariamente la prima – è che si tratti di fenomeni che esplicitano una crisi sistemica – pervasiva e profonda – che coinvolge il sistema-scuola.
Va da sé che il counseling non possa rispondere a una tale urgenza; il counselor può, però, assumere un ruolo cruciale come persona con la competenza utile a mediare tra le diverse esigenze degli attori, offrendo uno spazio che non sia di solo ascolto, ma anche – soprattutto – di comunicazione, e che sia sottratto, intenzionalmente, alla rivendicazione.
A chi si occupa di counseling scolastico viene spesso richiesto di agire come formatore nelle situazioni critiche: a fronte di problemi – sempre più spesso gestionali e relazionali – il counselor(-formatore) viene visto come figura esperta prioritariamente di formazione, confermando il “vizio di forma” di una scuola che vede l’istruzione come unica risposta possibile. Il counseling può aprire a prospettive meglio rispondenti ai bisogni.
Il counseling scolastico è uno degli ambiti in cui la professione di counselor trova una dimensione forte e quasi immediata di senso, ma è anche uno di quelli in cui i counselor possono trovare lavoro con più frequenza.
In Italia i punti di ascolto per alunni e/o per genitori sono l’espressione più usuale del counseling scolastico; la loro gestione è affidata a professionisti esterni (counselor, psicologi, educatori) o interni (insegnanti, psicopedagogisti) che possono aver ricevuto una qualche forma di formazione finalizzata.
In molti paesi il counseling scolastico è una attività propria, ben distinta tanto dalla psicologia quanto dall’insegnamento.
Altre esperienze vedono il counselor scolastico come un ruolo di connessione e di mediazione sistemica rivolto ad una molteplicità di utenti: alunni, genitori, insegnanti, dirigenti, intesi come singoli, ma anche come appartenenti a gruppi e sotto-gruppi – talvolta espressione di minoranze – che vedono il counseling come una forma di tutela dell’esercizio della cittadinanza educativa; il counseling si configura quindi anche come un’azione di forte responsabilità sociale.
È possibile immaginare che anche in Italia i counselor possano andare oltre la gestione degli spazi di ascolto e sappiano giocare su un piano professionale più ampio e qualificante? E quali sono le cornici teoriche e metodologiche necessarie per lo sviluppo di tali competenze?
Stefano Zoletto, laureato in Scienze dell’Infanzia e della Preadolescenza presso l’Università degli Studi di Padova, è un counselor supervisore e un mediatore familiare. Esperto di tematiche genitoriali, educative e scolastiche, si occupa principalmente di lavorare in tali ambite con singoli e coppie e famiglie.